venerdì 15 maggio 2009

Oggi è un giorno terribile.
Posto questo toccante pezzo del sociologo Carlo Gambescia, che sottoscrivo completamente.

Potete anche trovarlo qui: www.carlogambescia.blogspot.com

L'immigrazione clandestina diventa reato. Vergogna!
Carlo Ganbescia

“REATO DI CLANDESTINITA' - L'immigrazione clandestina diventa reato. L'articolo 21 del ddl introduce nell'ordinamento italiano il reato di "ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato". I clandestini, in base alla nuova disciplina, non rischiano l'arresto, ma si vedranno infliggere un'ammenda dai 5mila ai 10mila euro. La norma renderà obbligatorio denunciare i clandestini all'autorità giudiziaria tranne che per i medici e i presidi per i quali è stata prevista un'apposita deroga”. (…)
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NEI CIE FINO A 180 GIORNI - L'extracomunitario che arriva in Italia senza permesso di soggiorno potrà rimanere nei Cie (Centri di identificazione ed espulsione) fino a 180 giorni. Ora il periodo è di due mesi.(…)
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SI' ALLE 'RONDE' - Associazioni di cittadini potranno segnalare alle forze dell'ordine situazioni di disagio sociale o di pericolo. Saranno iscritte in elenchi e dovranno essere formate prioritariamente da ex agenti “
http://www.ansa.it/opencms/export/site/notizie/rubriche/daassociare/visualizza_new.html_961818060.html

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Oggi per protesta avremmo voluto tacere. Ma non ci siamo riusciti. Ed eccoci qui.
Dobbiamo subito osservare che l’introduzione del reato di immigrazione clandestina è per noi fonte di grande amarezza, perché ci fa sentire inutili. Dopo una vita segnata dalla fatica di studiare i fenomeni sociali per arricchire la qualità della vita di tutti. A partire dalla giusta necessità di migliorare i rapporti fra le persone di cultura diversa. Che tristezza.
Ma entriamo in argomento.
Il ddl prevede non l’arresto ma una multa. Il che però sul piano sociologico ha lo stesso valore. E spieghiamo perché.
L’introduzione del reato di immigrazione clandestina (a prescindere dall’arresto o meno) indica soltanto una cosa. Che ha vinto la falsa necessità di indicare un capro sociale espiatorio: il migrante. Da immolare sull’altare della pubblica sicurezza degli italiani: una vergogna.
Perché si rischia - ecco il punto - di trasformare l’Italia in uno “Stato di polizia”. E sotto questo aspetto l’istituzione delle ronde è sintomatico : le ronde sono utili solo per tenere vivo uno stato di allarme sociale che si autoalimenta grazie alla diffusione della paura sociale. E che non può non risolversi nel progressivo trattamento delle persone - tutte le persone a cominciare dagli immigrati - come puri e semplici ostacoli, al normale “andamento” della vita sociale… E qui si pensi, come esempio di svilimento della persona, al prolungamento fino a 180 giorni della permanenza nei Cie, dove si vive in condizioni sub-umane, dell’extracomunitario senza permesso di soggiorno.
Riteniamo perciò che il Governo Berlusconi stia giocando tutte le sue carte proprio sulla creazione del “Capro Sociale Espiatorio Immigrato Clandestino”. Dipingendo il migrante come nemico interno, per ricompattare collettivamente gli italiani, intorno alla figura “bonapartista" di Berlusconi, "primo comandante" e salvatore del “popolo” dall’ “invasione straniera”.
Creare un “capro sociale espiatorio” e soprattutto tenerlo costantemente vivo, istituzionalizzando una situazione di allarme, introduce un elemento di controllo sociale molto forte. E di semplificazione delle attività di polizia (preventive e repressive). In prospettiva il rischio più grosso per il cittadino è quello di perdere la propria libertà, magari in quanto “non denunciante” o “amico” di " immigrati clandestini pericolosi"...
Il pericolo principale è quello della definitiva istituzionalizzazione di un clima da barbara “guerra civile” nei riguardi dello “straniero”, rappresentato come potenzialmente pericoloso.
Di qui la nostra stanchezza ricordata all’ inizio del post. Nessuno ti ascolta. Compreso lo schieramento di centrosinistra, che in due anni di governo non ha aperto né chiuso ai migranti: ha semplicemente guardato dall’altra parte… E ora grida al fascismo…
Sotto questo aspetto la “destra nuova” di Fini che si vanta di essere libertaria, perché non ha votato contro un ddl che libertario non è? Tuttavia se volesse, potrebbe farlo cadere al Senato...
Infatti che c’è di meno libertario di un ddl che trasforma in reato la libertà di movimento, vero presupposto di ogni altra libertà ?

mercoledì 6 maggio 2009

BALLAD, di Giorgio Cattaneo

un’intera città
di solitudine, un’unghia
di panino d’allentata brama,

mollica per piccioni pieni d’infinita
gratitudine, mobili colli gallinecei
guardinghi tra fontane e mausolei
di banche e cattedrali, sole
che non scalda e non rischiara, tra fronde
prigioniere in un esilio grigio
di marciapiedi sudici, isole lunghe
di cemento industriale, decadenza
Non importa più a nessuno
dove cadrà domani il tempo
morto sui tetti stesi ad asciugare
tra comignoli rumeni e magrebini;
verso il parco fluviale ora s’addensano
perturbazioni alate di zanzare su bottiglie
da stappare usando come leva
l’accendino bic di plastica usurata,
l’unica cosa ancora funzionante
tra giornate fatte apposta per sopire
mareggiate acustiche di nostalgia
per narrazioni zoppe e storie
rarefatte; gabbiani solcano un futuro
di appena qualche ora, dove il fiume
si porta via sciacquando il niente inutile
ch’era rimasto in noi, tra menestrelli
disperati a ogni semaforo e sorrisi
da lutto planetario, sotto il cielo
incupito della crisi. In altri tempi
in cui c’erano dischi nei negozi
e ciliegie nei giardini avrei potuto
incrociare in un cortile anche Bob Dylan
vaticinante e incomprensibile, in epoche
di sofferente ipnosi e di espansione tumultuosa
verso catastrofi incombenti e paradisi,
canti orfici, chilometri di prateria, tutta la polvere
d’America su seggi in finta pelle, Thelma e Louise
già in fuga da chiunque avesse la più vaga idea
di cosa stesse succedendo, quale evento

di sfoltimento umanitario, flagello
di locuste o virus, la rete gsm, le distanze
diventate barzelletta nella banalità d’ali di linea,
motori collaudati, pirati surreali da paesi
remotissimi, esplosivi, incancreniti
da un deserto di risentimento. I bambini allora
erano piccoli, il mondo non era che un teatro
di orfanelli, un circo stanco
di enormità gravose, ormai
dimenticate; ancora c’era

chi moriva, sì,
di morte naturale, nel collasso provvisorio
della pace sociale; c’erano infarti e funerali
lenti di pioggia e preti neri e ombrelli,
l’aria era lucida di lucciole e lampeggi
evocati dai poeti. I ragazzini
si smarrivano in periferia
su biciclette sgangherate tra laghetti
dimenticati al bordo dei cantieri
dove nuotavano girini. C’era un odore antico
di ferrovia e fuliggine, come annotava
Natalia nelle memorie sue
piene di ruggine miracolosa tra domeniche
in collina con Pavese. Il drago
s’era solo appisolato un attimo,
prima di ridestarsi mattiniero
per tornare al suo lavoro: fiabe cristiane
e santi in calendario, un firmamento
di missili sovietici, struggenti solitari
cosmonauti nel segreto di missioni
disastrose, l’avvenire e il governo
del futuro anteriore, il grano dell’Ucraina
e il faccione di Khrushev, la macchina
di fame e morte e dollari, di presidenti
e killer. Patrice Lumumba, spento
dall’uomo nero al soldo
dall’assassino bianco. Senza nome
i feti di Luanda che nascono
malati e se ne vanno
sotto la croce della loro
città afflitta, sotto i poster costosi
che predicano inferno,
mala novella, castità
di cardinali e imperatori
d’ossa, di sabbie e sangue infetto,
Africa che s’imbarca
senza lacrime e si perde
nel mare più domestico
e funesto